Pure tali piccoli vantaggi ottenuti da re Giacomo non compensavano le gravissime perdite sofferte nell’assedio di Siracusa, che andava sempre in lungo senza alcuna apparenza di buon successo, e molto meno il disastro dell’armata. Talmentechè, giuntane la notizia al campo per una delle galee scampate, quel re chiamò a consiglio tutti i capitani e ’l cardinale Landolfo Buliano, legato pontificio. Pietro Cornel uno dei più prudenti disse, non esser mai avvenuto che un re di Aragona, quali nemici, che avesse avuto a fronte, non ne fosse uscito vincitore. Ma non però esser da tentare Dio e stancare oltre il dovere la fortuna. Per la disfatta dell’armata e le perdite sofferte in quel lungo assedio diciottomila uomini esser mancati; ned essere da dubitare che re Federigo ed i Siciliani, resi oramai superiori in forze navali ed insuperabili dalla vittoria, non venissero loro addosso, per opprimerli in battaglia campale, o per obbligarli a vergognosa fuga. Però, soggiunse, è mio avviso abbandonar questa città che nè per maneggi, nè per guerra, nè per fame abbiam potuto sottomettere e ritirarci, mentre ne abbiamo il tempo. Se poi è fitto in mente del re il pensiero di soggiogar la Sicilia, terra nutrice del suoi maggiori, e cacciare un diletto fratello del patrio regno, per darlo ad un nemico comune, possiamo, ristorate le perdite, tornarvi.
Tutti aderirono. Rimbarcato l’esercito, re Giacomo si partì. Fermatosi all’altura di Milazzo, spedì ambasciatori al fratello chiedendogli le galee prese ed i prigionieri: ed a tal patto promettea di non più tornare ad attaccar la Sicilia.
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