Discusso l’affare nel consiglio del re, Vinciguerra Palici era d’avviso d’aderire alla proposta, ma oppostoglisi Corrado Lanza, il re al costui parere s’attenne. Giovanni di Loria e un Giacomo la Rocca, furon condannati dalla gran corte a perder la testa: ed il re stesso ad onta che il mare fosse stato tempestoso, venne fuori coll’armata per battersi col fratello: ma questo, vistolo, sciolse le ancore e s’allontanò.
Tornato il re in Messina si die’ a ricuperare le città ch’erano ribellate, e tutte, tranne Milazzo, Monforte e poche altre del Val Demone, furon sommesse. Chiamato poi il parlamento in Messina, ivi palesò che re Giacomo, dopo d’essere stato in Aragona a far nuovi appresti di guerra, era ritornato in Napoli, e quindi dovea al più presto venire ad attaccar la Sicilia in compagnia di Roberto duca di Calabria e di Filippo principe di Taranto, figliuoli di re Carlo, i quali menavan con loro numeroso esercito di gente collettizzia di ogni nazione. «Se noi» disse «lor lasceremo metter piedi nel regno, tutte nostre sostanze saranno lor preda; che non con altro animo che con quello di predare si sono accozzati uomini d’abito e di lingue diverse. Imprendiamo a difenderci mentre sono intere le forze nostre. I Francesi, i Provenzali, i Napolitani non oseranno starci a fronte, i nostri tempî sono parati di mille bandiere tolte loro e le nostre carceri sono zeppe de’ loro prigioni.» Ma, figlio di un re d’Aragona, nato aragonese anch’egli, soggiunse «Per gli Aragonesi e pe’ Catalani Iddio ci ajuterà.»
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