Un plauso guerresco fu la risposta del parlamento, e di presente furon date tutte le disposizioni per un armamento generale. Divulgatosene appena la nuova, conti, baroni, feudatari, militi ed ogni altra maniera di gente armigera, cominciarono a concorrere in folla a Messina. Quaranta galee vi furono preste in pochi giorni. Il fiore della nobiltà siciliana vi salì sopra, ogni conte od altro distinto personaggio comandava la sua. Il re, salito sulla capitana, fe’ scioglier le vele. Giunto all’altura di Milazzo, gli venne incontro una barca precedentemente mandata ad esplorare i movimenti del nemico, la quale gli die’ avviso d’aver lasciata l’armata nemica all’isole Eolie. A tal notizia fece il re forzar di remi sulla speranza d’incontrarla prima che fosse giunta in Sicilia. Ma, oltrepassato appena il capo d’Orlando vide i nemici già sbarcati nella pianura di S. Marco e le navi legate al lido.
Tale era l’ardore de’ Siciliani, che nulla curando il numero a gran pezza maggiore delle navi nemiche, e la posizione loro, per cui erano inespugnabili, senzachè era sul cader del giorno, voleano correre allora stesso ad attaccar la battaglia, ed altamente querelavansi del re, che die’ ordine di soprassedere sino al domane.
Re Giacomo all’apparire l’armata siciliana, per prepararsi alla battaglia, scaricò le sue navi dei cavalli, delle macchine e d’ogni altro ingombro. Poi, chiamati a consesso i suoi capitani, disse loro: «Non s’è mai inteso che alcuno del mio sangue avesse mai trasgredito i comandi della santa chiesa romana.
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