Alagona sovvenendosi che per un caso simile era tornata in rotta la battaglia già guadagnata da Corradino sopra Carlo d’Angiò, senza più curare del principe corse a quella volta. Era quello un corpo di Napolitani, che la città di Napoli avea dato e ’l principe avea posto in riserba. Ma costoro visti appena i Siciliani muovere alla volta loro, senza aspettarne l’incontro, spulezzarono.
In questo, il re, saputo il caso del principe, gridò di non molestarlo e corse a lui, e quello gli si arrese. Il conte Marsico che colla sua banda tenea ancora la puntaglia, visto l’esercito rotto, perduto ogni speranza di scampo, che il mare agitato tenea i legni lontani, s’arrese anch’egli coll’avanzo de’ suoi. In somma in tutto l’esercito nemico niuno restò se non morto o preso. Il principe fu mandato nello stesso castello di Cefalù, ove era stato chiuso il padre, gli altri in castelli diversi.
Fra que’ Napolitani, ch’eran fuggiti e che tutti poi furon presi, era quel Pietro Salvacoscia, che era stato ammiraglio di re Federigo e governadore dell’isola d’Ischia. Costui nella battaglia di Capo d’Orlando era con vil tradimento passato ai nemici, ed avea poi ribellato Ischia e datala in mano del re Carlo. Preso ora da un Giletto, gli offriva mille once per liberarlo. «Molto tempo, colui rispose, è necessario per numerar quel danaro; serbalo piuttosto a’ tuoi successori: tu intanto abbiti il merito del tuo tradimento.» E in questo dire gli tagliò la testa.
Se in quella congiuntura ammirevole fu il coraggio del re, anche più fu ammirevole la sua modestia dopo la vittoria e la previdenza sua.
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