Il giorno stesso ne diede parte al comune di Palermo con sua lettera, nella quale, nulla a se, tutto attribuisce all’ajuto divino, ed ordina ai Palermitani di mandar tosto le loro galee a soprapprendere l’armata nemica, che danneggiata riparava nel porto di Trapani (528).
Il duca di Calabria intanto, saputo lo sbarco del fratello, tutto lieto ne diede notizia a’ suoi capitani ed al cardinale, e tutti ne gioivano, e teneansi da ciò sicuri dell’intero acquisto del regno. Solo Rugiero di Loria non ne fu lieto, e disse che il re ed i Siciliani avrebbero offerta la battaglia al principe, egli animoso l’avrebbe accettata, ed in tal caso la sua morte o la prigionia sarebbero inevitabili. Nè alcun soccorso potrebbe sperare dall’armata; che quella spiaggia mal sicura non permetterebbe alle navi di tenersi vicine alla terra. Il solo rimedio, soggiunse, sarebbe quello di correr tutti noi in quelle parti e tentare o di congiungerci al principe o di metter in mezzo i Siciliani, per impedir loro di venire alle mani. Fu accettato il parere. Il duca colla sua gente si mise in via: ma non s’era molto dilungato da Catania, che ebbe avviso di esser l’affare accaduto per punto come Loria lo avea preveduto. Fatto ritorno in Catania, per riparare la perdita sofferta; fu spedito il Loria in Napoli a levar nuova gente. Egli prima di partire raccomandò a tutti, e più che altri al cardinale, di tenersi in guardia dell’astuzia de’ Siciliani e non tentare impresa, che fosse per accedere prima del suo ritorno.
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