Il Procida allora fatto senno, sbiettò.
Al far del giorno Alagona situò i suoi cavalieri colle spalle al sole nascente, onde i suoi primi raggi abbacinassero i nemici. Dispose poi gli almogaveri e i fanti in due grandi ale, lungo il sentiero che quelli dovean percorrere per venire all’attacco. Tale era la fidanza dei Francesi nel proprio valore, che, lasciata un’altura, ove avrebbero potuto con vantaggio difendersi se fossero attaccati, vollero scendere precipitosamente per attaccare i Siciliani; ma lungo il corso una grandine di sassi lor piovve addosso e lor cadevan sotto i cavalli; chè Alagona avea dato ordine a’ balestrieri di mirare a’ cavalli. Disordinati così e scavalcati i Francesi, non poterono resistere l’urto dei cavalieri siciliani. Nè dubbio, nè lungo fu il combattimento: nissuno de’ Francesi campò la morte. Solo il conte di Brienna con pochi compagni, disperando di salvarsi, per non cadere in mani ignobili, ascesero su d’un’alta rupe e vi si difendeano; ma sopraggiunto Blasco Alagona, a lui quel conte cesse la spada.
Ottenuta quella vittoria, tornò Blasco colla sua gente in Mineo ond’era partito, menando seco il conte, che fu chiuso in quel castello. L’infelice Morelletto, innocente cagione di quella strage dei suoi, era stato a vedere il combattimento della finestra della prigione; e tanto fu in dolore, da cui fu preso per l’esito lacrimevole della battaglia, che, datosi la testa per le mura, spirò. Montanerio ne venne ricco; che, oltre le ricompense avute dal re, pose ogni studio a raccorre i cadaveri dei nobili francesi e prepararli in modo da conservarli: e poi li vendè a gran prezzo ai loro congiunti che vollero ricattarli.
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