Il parlamento vi aderì; anzi il conte di Geraci e gli altri baroni si offrirono d’armarne trenta a spese loro. Ma non guari andò che, prima d’esser presta l’armata siciliana, i nemici tornarono ad infestare le spiagge di Sicilia. Nove galee vennero nel maggio del 1317 e tagliarono le reti delle tonnare lungo il lido di Termini, Palermo e Trapani. I Palermitani corsero loro contro con tre altre galee e poche galeotte messinesi che in Palermo erano, ma quelli in vederli scapparono.
Mentre, allestita già l’armata, il re preparavasi a cominciare una guerra offensiva, vennero in Messina gli ambasciatori di papa Giovanni XXII, del re Giacomo suo fratello e della regina di Portogallo loro sorella, i quali cominciarono a sollecitarlo per venire alla pace con re Roberto.
Ma, come quell’accordo richiedea alcun tempo a conchiudersi, gli ambasciatori del papa proposero di conchiudersi per allora una tregua da durare da quel giorno sino a tre anni dopo lo imminente natale, durante la quale i due re converrebbero in Avignone, ove il papa trovatasi, per istabilire una solida pace; ed intanto proposero che Regio e le altre città tenute dal re in Calabria fossero consegnate al papa, per restituirle poi a quello de’ due re cui sarebbero toccate.
Rispose il re: sè essere sempre stato desideroso della pace: ma «a quali patti pensa il papa di conchiuderla?» chiese all’ambasciatore: e quello, additando il faro «questo è» disse «il confine posto dalla natura fra voi e re Roberto.» Il re, che forse a tal patto era contento di pacificarsi, mal grado il contrario parere d’alcuni de’ suoi consiglieri, accettò quei preliminari; e la tregua fu conchiusa.
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