V. - Dall’altra parte il re a richiesta di tutti i baroni, de’ prelati e dei comuni del regno fece coronare in Palermo addì 19 aprile 1322 il suo primogenito Pietro nato nella real villa del Parco addì 14 luglio del 1305, e per cancellare col fatto il trattato di Caltabellotta non solo lo associò al governo e bandì, che quindi innanzi tutti gli atti publici portassero il titolo d’ambidue (533); ma per assicurare la successione, fece menare in moglie a re Pietro II la Elisabetta, figliuola del duca di Carinzia re di Boemia.
Re Roberto in questo apparecchiava in Genova una grande armata, e messala in punto, la diresse contro Palermo. Eran centotredici galee fra le quali trenta genovesi, oltre i legni da trasporto. Vi era imbarcato il duca di Calabria, che da prima avea avuto nome Luigi ed ora diceasi Carlo, e con lui il fior dei baroni Napolitani.
VI. - Addì 26 maggio del 1325 l’armata nemica prese terra presso Palermo, e l’esercito accampossi sotto le mura della città dalla parte di oriente, che allora diceasi la contrada dei Cassari, e tosto si diedero i guastatori a desertare quelle belle campagne. Distrussero il sontuoso verziere della Cuba, che era allora villa reale, e si estesero fino a Misilmeri e Trabia, tagliando da per tutto gli alberi, depredando il bestiame, dando fuoco alle case, e fino sterpando le biade ove non erano mature per poterle affocare.
Comandava in Palermo il vecchio Giovanni Chiaramonte e con lui erano Matteo Sclafani, Niccolò ed Enrigo Abate, Simone Escolo, Giovanni Calvello ed assai altri nobili e plebei di gran cuore; pure il re che in Messina trovavasi, avuto già lingua dell’intenzione del nemico, vi avea mandato seicento cavalieri, comandati da Blasco Alagona, nipote del ricantato Pietro d’Antiochia gran cancelliere, Giovanni Chiaramonte il giovane, conte di Modica, Pietro Lanza e Simone Valguarnera.
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