Costoro cominciarono allora a dare libero sfogo all’odio antico contro il conte di Geraci, che fin’allora era stato represso dall’autorità del morto re. Il conte di Geraci, visto che tutto era a lui contrario, ritirossi nei suoi feudi, nè più si fece vedere in corte. Lo stesso fece Federigo d’Antiochia conte di Capizzi, amico e partigiano del Ventimiglia.
III. - In questo il re convocò il parlamento in Catania, ed in suo nome i due fratelli Palici scrissero al conte di Geraci di recarvisi di persona. Egli si mosse a quella volta, ma giunto in Motta Sant’Anastasia, da persone della corte fu secretamente avvertito a guardarsi dalle insidie, che i Palici contro lui tramavano: per lo che fingendo, che il conte di Collesano suo figliuolo, soprappreso di grave malattia, era per morire, fe’ ritorno in Geraci: quindi scrisse al re palesandogli l’avviso avuto. Forse sperava egli che per tal modo i suoi nemici ne sarebbero disgraziati. Ma il re contentossi di scusarlo dell’assenza e continuò ad aver cari i Palici. Intanto per comporre quelle briglie fra baroni di sì gran nome, chiamò il conte in Catania; ma quello ricusò di recarvisi, comechè il re glielo avesse due volte ordinato. Passato il re in Nicosia, ve lo chiamò; ma stette più giorni ad aspettarlo invano: della qual pervicacia si tenne, com’era di ragione, gravemente offeso. Tornato il re in Catania nel dicembre del 1337, venne ivi a trovarlo il conte di Collesano, per iscusare la renitenza del conte di Geraci suo padre; ma il re inciprignito lo fe carcerare una con tutte le persone del suo seguito fra le quali era un Ribaldo Rosso, maggiordomo e secretario del conte, il quale, messo più giorni alla tortura, finalmente disse di sapere, che il conte suo signore ed il conte di Capizzi teneano secrete pratiche col re Roberto.
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