E tanto crebbe la loro arroganza, che temendo non il duca Giovanni avesse fatto finalmente aprire gli occhi al re suo fratello, saputo che egli dirigeasi in Palermo, indussero il buon re a spedire a lui l’arcivescovo di Palermo, il conte Raimondo Peralta, per ordinargli in suo nome di tenersene lontano. Incontrarono costoro il duca in Piazza. Per essere già caduto il giorno, non poterono a lui presentarsi: ma fatto notte, il Peralta a lui recossi secretamente ed avvertirlo a non curare l’ordine ed avansarsi anzi sino a Palermo, chè il re ne sarebbe stato lieto. Il domani presentato in compagnia dell’arcivescovo l’ordine, il duca rispose «I traditori non devono presentarsi al re: ai traditori può esser diretto tal ordine, non a me che son fedele al re e dello stesso sangue. Ditegli, ch’io a mal dispetto di coloro, che diedero tal consiglio, verrò in Palermo: vedremo chi avrà cuore di vietarmi l’ingresso della reggia.» Tornati i messi in Palermo e riferita tale risposta, il re ne sorrise, e volendo i Palici aizzarlo contro il duca, loro disse «Se nostro fratello vuol venire a noi, possiam noi vietarlo? È fors’egli traditore o nemico? Non osate parlarmi più oltre.» E voltatogli le spalle, ritirossi nella sua camera; di che coloro turbaronsi forte. Ma assai più ebbero ragion di temere allorchè ivi a pochi giorni il duca, accresciute le sue forze, venne in Palermo. Il re corse ad incontrarlo sino al ponte dell’Ammiraglio. Abbracciatisi ivi i due fratelli, presisi amorevolmente per mano vennero al real palazzo.
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