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      E però, annichilita del tutto la sovrana autorità, le città, per potere almeno far le ricolte, stabilivan tregue fra esse. Grandi vantaggi avea in quella guerra la fazione de’ Palici e de’ Chiaramonti. Per loro era l’autorità e ’l nome del re; e la maggior parte del regno era loro sommessa: pure fallita l’impresa di Catania, non poterono essi più riunire le forze loro; dachè il partito loro nemico, che in ogni città era, accresceasi di giorno in giorno, per essere divenuta odiosa l’autorità da essi usurpata, della quale facean tale abuso, che le città stesse demaniali eran da essi governate come terre di lor vassalaggio; e però era loro mestieri tenere in ogni città una gran forza per comprimere il popolo. Ciò non però di manco il popolo in più di un luogo facea sforzi per iscuotere il giogo. Quei di Castrogiovanni chiamarono don Artale d’Alagona, cui venne fatto di penetrare in città; ma poi ne fu respinto dalla contraria fazione. Il conte d’Asaro Scaloro degli Uberti fu messo a morte e fatto in pezzi dagli Asaresi. I Palermitani non potendo più tollerare la dura servitù, cui aveali ridotto Manfredi Chiaramonte, levaronsi a tumulto, obbligarono il Chiaramonte a chiudersi nel real palazzo, e cercarono soccorso dal gran giustiziere, da Matteo Sclafani signore di Ciminna e dal conte Francesco Ventimiglia, il quale in quel generale trambusto avea riacquistata la libertà una co’ suoi fratelli, e parte degli stati paterni. E certo il Chiaramonte sarebbe giunto a mal termine, se Simone suo figliuolo e tutti gli altri della sua famiglia accorsi da tutte le parti del regno non fossero arrivati a tempo per liberarlo e riprendere il dominio della città, ove trassero aspra vendetta di tutti coloro che aveano avuto parte alla rivolta; e mal ne sarebbe incolto al conte Ventimiglia ed a’ fratelli suoi, se non si fossero salvati colla fuga.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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