In Messina il conte Matteo Palici, crudele, vendicativo, rapace, sleale, era divenuto l’oggetto dell’odio universale.
Forse per tali ragioni, credendo il Palici di raffermare la sua autorità con far dichiarare il re maggiore, gli fece scrivere una lettera ai giurati di Catania, nella quale dicea loro che essendo egli di già arrivato al quindicesimo anno dell’età sua, e però in istato di governare da se, volea ch’eglino spedissero a lui in Messina, per provvedere al buono stato ed alla tranquillità del regno, due o tre di loro (537).
L’essere stata quella lettera recata come di furto da un Taormina, l’esser diretta ai soli giurati e non al capitano, al bailo, ai giurati ed ai giudici, che allora formavano il corpo municipale, cui dirigeansi tali lettere nel convocare il parlamento e simili casi; il non esservi chiamato alcuno dei baroni della fazion catalana, e particolarmente il gran giustiziere del regno; fecero conoscere ai Catanesi d’esser quella lettera un tranello della contraria fazione. Però risposero al re, che avendo posto mente a quella lettera, conosceano ch’egli, lungi di governare, era governato da pubblici nemici. «Se V. M.» soggiungeano «è libera ed in istato di governare da se, ond’avviene, che i principali autori di tanti disturbi usurpano una autorità anche superiore a quella della M. V.? Che non gli allontanate dalla vostra presenza? Se siete veramente libero, venite in questa città, sull’esempio dei vostri maggiori, mettetevi allato uomini pacifici e probi, ed allora tutti i vostri fedeli sudditi con gioja e sicurezza verrano ai vostri piedi (538).» Tal coraggiosa risposta fe’ svanire il progetto.
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