Fu infatti assalito lo Spadafora: ma egli nel difendersi chiamò l’ajuto del popolo, e il popolo mise in fuga gli assassini. Il tumulto divenne allora universale in città. Una turba di donne, tolta una bandiera reale, gridando «Viva il re e ’l popolo, e muoja il conte Matteo» corse ad aprire una delle porte della città, per la quale entrarono senza ostacolo i congiurati. Il conte Palici, inabile a frenare il popolo infuriato, corse colla moglie e i figliuoli a chiudersi nel real palazzo: ma le donne stesse armate in gran numero accorsero a quel palazzo gridando di voler consegnato il conte. Invano il re stesso, fattosi ad una delle finestre, ordinava loro di ritrarsi; chè anzi più furiose misero fuoco alle porte. Il re, vistosi in tal pericolo, venuto fuori secretamente, corse a darsi in braccio dei congiurati, da’ quali fu accolto con ogni dimostrazione di rispetto. Cadute in cenere le porte del real palazzo, il conte di Cerami v’entrò per avere nelle mani il suo nemico, il quale fu rinvenuto in una camera sotterranea fatta fabbricare dalla regina Eleonora pei timore dei tuoni. Trattonelo, fu portato alla presenza del conte, cui cominciò a chieder perdono; ma quello, senz’altro ascoltare, lo fe’ mettere a morte una colla moglie e i figliuoli. Il popolo furioso ne fece in pezzi il cadavere. Dice lo storico ricantato «Se volessi narrare i vituperî fatti al cadavere della contessa, farei vitupero a tutte le donne.» Vi fu chi portò in Catania la testa ed un braccio del conte e presentolli al gran giustiziere, il quale ebbe la grandezza d’animo di non mostrarsene lieto, e fece anzi dare onorata sepoltura a que’ resti del nemico.
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