Tutti i sindaci de’ comuni e tutti i baroni vi accorsero, tranne i Chiaramonti, comechè il re gli avesse replicatamente chiamati: anzi la badessa stessa acchinossi ad andare incontro al conte Simone sino al fiume di Catania, per indurlo a venire co’ suoi in presenza del re: ma quello ostinavasi a pretendere che fosse prima allontanato il gran giustiziere, dicendo che la nobiltà del loro sangue non pativa d’esser sottomessi alla giurisdizione di lui. A tale arroganza crebbe sì l’odio del re verso questa famiglia, che trovandosi un giorno a cavalcare per le campagne di Catania con gran seguito di nobili, gli venne veduto un branco di buoi, un de’ quali erasi sbandato, ed il boaro correagli appresso chiamandolo per nome. Disgraziatamente per quella povera bestia, le avean dato nome Chiaramonte; il re sentendolo a nominare, gli corse appresso, e raggiuntolo, tratta la spada, l’uccise dicendo «Questo nome non dee mai proferirsi in mia presenza.» Puerilità ridicola che serviva solo a mostrare la sua debolezza. Ritornato poi in Catania, riunita in sua presenza la gran corte, i Chiaramonti, il conte Francesco Palici e i loro consorti furono banditi dal regno.
Allora, non che fossero ricominciati, s’accrebbero a più doppi tutti gli orrori della guerra civile. Tale era la potenza dei Chiaramonti che oltre la vasta contea di Modica e tanti altri stati da loro posseduti, Palermo, Girgenti, Siracusa e quasi tutte le città dei Val di Mazzara eran da essi tenute come in vassallaggio: ma soprattutto Lentini era loro piazza d’armi; talmentechè vani furono gli sforzi del re per averla di forza.
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