Era la metà di maggio; in quella contrada le biade eran mature: i pedoni le segavano, i cavalli le trebbiavano e le trasportavano. Grande divenne la carestia in Lentini. Manfredi Chiaramonte chiamò a consiglio i maggiorenti della città nel castello. Andativi, ve li ritenne prigioni, come ostaggio, per tenere a freno il popolo. In ogni strada era una ronda di cavalieri; onde era interdetto ai miseri Lentinesi pure il mandar fuori un sospiro. Molte donne e fanciulli ne scappavano per accattar pane altrove, ed assicuravano il re dell’estrema angustia cui era ridotta la città.
In questo Niccolò Lanza, che seguiva l’esercito regio ed andava scorazzando que’ dintorni intraprese una salmeria di argenti, gioje arredi preziosi e danaro che il Conte di Modica Simone Chiaramonte facea venire in Lentini. Quindici cavalieri la scortavano, e fur presi con tutte le some. Lentini era per cadere, quando giunse al re la notizia che in Vizzini erasi levato un tumulto contro i Chiaramonti, e venti dei principali autori di quel subuglio, presa la torre della città ed afforzativisi, chiedevano ajuto. Vi spedì il re don Orlando d’Aragona e il barone di Sciortino: ma questi trovarono entrati in città il barone di Fulfo con molta gente speditavi dai Chiaramonti, e la torre assediata. Volle il re accorrervi egli stesso con tutta la sua gente: ma intanto la torre fu presa, e coloro, che la difendevano, messi a morte. Il re tornò a Catania. I Chiaramonti venuti fuori da Lentini con dugento cavalli corsero a fare sul tenere di Caltagirone, di Noto, di Sortino gli stessi guasti che l’esercito regio avea fatto in Lentini.
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