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      Lo stesso conte di Geraci fuggì. Restato il Cesareo a comandar la città, vi chiamò don Artale Alagona; e questi accorsovi, vi fu accolto con gran trionfo. Trovatavi la vicaria, seco ne la menò in Catania, ove trovandosi a passare avanti una bottega in cui vendeasi pane, uno del popolo disse alla principessa «Signora, questo pane è fatto del frumento che d’ordine vostro fu bruciato: grazie a Dio è bianco ed abbondante. Viva il re che non ci fa mancar nulla.»
      In questo il conte Enrico Rosso si collegò coi Chiaramonti. Ma il conte di Geraci coi fratelli suoi, anzi che unirsi agli antichi nemici delle famiglie loro, tornarono all’obbedienza del re.
      Stava allora Messina sotto il dominio del re Federigo, e n’era stratigoto lo stesso Cesareo che l’avea tolta al conte Enrico Rosso, ma i castelli di Mattagrifone e del Salvadore teneansi pel conte. Il Cesareo macchinando un secondo tradimento, scrisse a Federigo Chiaramente, ch’egli, comechè si fosse dato alla parte regia, non lasciava d’essere in cuore della fazione chiaramontana; che volgeva in mente il progetto di fare avere in moglie al conte Simone la principessa Bianca sorella di re Federigo: ma per venirne a capo era mestieri che venissero in sue mani i castelli di Messina; e ciò essere lieve ottenerlo, scrivendone eglino al conte Enrico. Comechè Simone avesse da più anni contratto maritaggio colla figliuola del conte Palici, pure l’avere in moglie la sorella del re assai affaceasi alla sua ambizione, e, come colui che uso era a rompere ogni legge, nulla curando l’ostacolo dei contratti sponsalizi, entrò in quell’impegno e scrisse al Rosso per consegnare i castelli al Cesareo; e quello lo fece.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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