Coloro, che sopra vi stavano, dormivano ancora quando furon desti dal grido e dall’impreveduto assalto. Tentarono invano difendersi. Molti ne perirono in mare cercando salvarsi a nuoto: anche più ne furon messi a fil di spada e furon fatti prigioni: in somma un solo de’ quattro legni potè fuggire, gli altri vennero in potere di don Artale. Grande fu il bottino; chè su quei legni era riposto tutto il danaro che dovea servire a pagare gli stipendiarî. La stregua che ne toccò a’ catalani fu di quarantamila fiorini.
I Napoletani, che dalla città furon testimonî di tanta perdita, lasciato ogni pensiere d’assedio, si misero tosto in via per fare ritorno in Messina. I Siciliani venuti fuori di Catania si diedero ad inseguirli. Guido Ventimiglia, Corrado Spadafora, Niccolò Lanza, sopraggiunto il retroguardo nemico, cominciarono a molestarlo. Lo Spadafora, dato di sproni al cavallo, si spinse animoso fra le schiere nemiche, quando venne fatto ad un soldato tedesco avventargli un colpo di scure, per cui cadde fesso la testa. I Siciliani allora inabili a raggiungere con tutte le forze loro il nemico, che avea ventiquattro miglia di vantaggio, si fermarono: ma in loro vece accorsero da Taormina, Castiglione, Francavilla, Calatabiano ed altre terre lungo la via contadini e pastori senza numero, e mentre i Napolitani per que’ difficili sentieri eran costretti a marciare disordinati, gli assalivano or di fronte, or di fianco, or da terzo. Quelli, confusi, scuorati, gettato quanto portavano, si davano a fuggire: ma nella fuga erano o presi o morti.
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