Meglio della metà di quella gente restò sul campo, o cadde in potere de’ Siciliani; cavalli, che, perduti i cavalieri, erravan per quei campi formavan come armenti; vesti, armi, danaro, arredi, restarono sparsi per ogni dove. Molti di quei bifolchi ne vennero ricchi. Ridevole era il vedere dopo alquanti giorni taluni di costoro che fin’allora non altra maniera di vestito usato aveano che di albaggio, ned altro animale cavalcato che qualche ciuco, avvolti in manti di seta nobilissimi venir cavalcando generosi destrieri. Ma la più grave perdita che ferì il cuore del re Luigi fu l’esser caduto in mano de’ Siciliani Raimondo del Balzo suo camerlingo, a lui molto caro.
La perdita di quell’esercito fece svanire la speranza concepita dal re Luigi di sottomettere in poco d’ora tutto il regno: anzi, come le provincie napolitane non eran men della Sicilia agitate da intestine discordie, quel re, lasciato al governo di Messina il conte Niccolò Cesareo, fece ritorno in Napoli.
III. - Le città venivansi sottomettendo al dominio del re: ma non per questo lo stato del regno divenne più tranquillo. Le fazioni ardean più che mai. Tregue si conchiudeano e mal si rispettavano, da per tutto era guerra, nè altra maniera di guerra conosceasi che segare le biade immature, dar fuoco alle mature, tagliar le vigne e gli alberi, rubare il bestiame. Erasi in quei tempi dalla fazione, che mostrava aderire al re, creata una nuova carica per la difesa della città, ed era la Capitania a guerra, con la cognizione delle cause criminali, alla quale era addetta la castellania del luogo.
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