Ma fra le pubbliche calamità di allora, nessuna delle città siciliane ebbe tanto a soffrire quanto Lentini, esposta alle correrie ed ai replicati assedî di don Artale Alagona. Erasi in quell’epoca e per quella guerra introdotta la coltivazione del grano marzuolo, che allora diceasi Diminia; perchè venendo a maturità in minor tempo degli altri frumenti, credeano gli agricoltori di correr meno pericolo. Pure ciò nulla giovò a’ Lentinesi nell’aprile del 1359. Venutovi l’Alagona, fece mietere tutte le biade, tagliar tutte le vigne e gli alberi di quegli ubertosissimi campi, e trovato il grano marzuolo ancora in erba, vi fece pascere il bestiame, finchè ridusse il suolo affatto nudo. Finalmente dopo tanti inutili sforzi gli venne fatto nel marzo del 1360 di prender la città e farvi prigionieri la moglie e i figliuoli di Manfredi Chiaramonte.
IV. - La cagion principale di tanti disordini era la dappocaggine del re, il quale a misura che crescea negli anni davasi a divedere anzi soro che no. Morta nel febbrajo del 1360 la principessa Eufemia sua sorella maggiore, era egli restato in balia del conte di Geraci. E comechè fosse egli di già maggiore, non avea cuore d’uscir dalle mani di quel conte, il quale valeasi del nome del re per avere una sanzione a tutte le usurpazioni sue e de’ suoi. Ma Federigo, mentre il regno era sconvolto ed egli non era padrone di se, passava i giorni suoi a servir messe nella chiesa dei Francescani, onde a ragione la posterità ha contraddistinto quel re col soprannome d’imbecille.
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