La regina era nel suo deciquarto anno: molti pretensori si offrivano per la sua mano. Come il re d’Aragona avea pretensione al trono di Sicilia, come colui, cui la successione sarebbe venuta in forza del testamento di Federigo II, e preparavasi a far valere le sue ragioni colle armi, il gran giustiziere, senza farne intesi i compagni, conchiuse il matrimonio della regina con Galeazzo Visconti, nipote del duca di Milano principe potentissimo in Italia, che avea forze sufficienti per resistere all’Aragonese. Una tale risoluzione rincrebbe al grande ammiraglio e più di lui ai baroni di origine catalana, ai quali non andava a pelo un re italiano. Potente innanzi ad ogni altro fra coloro era il conte d’Agosta Raimondo Moncada. Costui concepì l’ardito disegno di trarre la regina dalle mani del gran giustiziere. Soggiornava essa nel castello di Catania; il Moncada, saputo che il gran giustiziere era ito a Messina, venuto notte tempo su d’una galeotta, sbarcò non guari lontano dal castello; scalatone le mura ed innoltratosi nella camera, ove la regina stava a dormire, le disse che bisognava seguirlo: la regina inabile a resistere, obbedì. Fu prima condotta nel castello di Agosta, e quindi per essere più lontana da Catania in Alicata. Volea il gran giustiziere, saputo il ratto della principessa correre all’assedio d’Alicata, ma con poche forze e meno concordia cogli altri vicarî, ebbe suo mal grado a rimanersene: ma cominciò a premurare il Visconti a venire in Sicilia con grandi forze, per trarre la sposa da Alicata; e quello apprestava un’armata a tale oggetto.
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