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      Dall’altro lato la forza stessa die’ cuore alla città d’implorare l’autorità sovrana per essere liberate dalle angherie cui i baroni aveale soggette. Molte di tali petizioni, che sono giunte sino a noi, chiaro mostrano a qual misera condizione le città siciliane erano allora ridotte. Molte dimandavano l’abolizione di tutte le nuove gabelle imposte dai tiranni. Girgenti a questa dimanda aggiunse, che i Chiaramonti aveano stabilito nella vicina terra della Favara un asilo di tutti i malviventi del regno, ove nessun magistrato osava molestarli; Termini chiese la restituzione della Montagna di Sancalogero e del bosco, onde allora era coperta, usurpata da Manfredi Chiaramonte, il quale avea lacerato il diploma della sovrana concessione, mostratogli dai cittadini; Troina e Caltavuturo dimandarono di non essere mai più date in signoria ad alcun barone: e se mai ciò avvenisse, fosse lecito agli abitanti disfarsi delle cose loro ed andare a stanziare in terra regale. E tutte poi imploravano la restituzione delle gabelle e de’ beni loro usurpati e la ripristinazione degli antichi privilegi loro, degli antichi magistrati municipali, dell’antica forma di loro elezione tutta popolare. A tali suppliche re Martino graziosamente provvedea con menar buone tutte quelle dimande, che poggiavano su gli antichi statuti e le consuetudini antiche.
      Mentre così il principe aragonese stendea una mano protettrice al popolo, per sollevarlo dall’oppressione, avanzavasi minaccioso contro coloro, che osavan contrastare alla sua autorità. Primi fra costoro erano due dei vicarî, il conte di Modica Andrea Chiaramonte e ’l conte Alagona: gli altri due poco contavano.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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