È manifesto che in tutti quegli statuti nulla era di nuovo; si voller solo rimettere in pieno vigore le antiche leggi del regno. Ma quelle generali disposizioni a nulla montavano; perchè non attaccavan la radice del male: nè ciò potè farsi allora pei disordini, che sopravvennero.
IV. - Il torbido vescovo di Catania, lungi di cooperare al buon andamento del governo, qual che sia stata la ragione onde si mosse, cominciò ad inasprire l’animo del marchese di Malta contro il re, e gli venne fatto ad accender una nuova guerra civile, collegandosi col conte di Collesano Antonio Ventimiglia ed altri baroni, i quali tentarono forse di fare un’ultimo sforzo, per non essere spogliati di quanto aveano usurpato. Tutti levaronsi in armi e misero sossopra i due valli di Mazzara e di Noto: ma la maggior parte delle città si tenne fedele al re. Il re d’Aragona avvisato dal figlio di questa nuova sommossa, non tardò a mandare in Sicilia navi, soldati, viveri o denaro. Ma non fu mestieri di tali soccorsi; il marchese di Malta che era il più potente dei rivoltosi venne a morire, gli altri scuorati dalla sua morte e dall’arrivo delle forze dell’Aragona si sottomisero volontariamente, e loro furono restituiti i beni.
Spenta così quasi sul nascere quella sommossa, il re sempre inteso a riordinare l’antica costituzione del regno, convocò nell’ottobre del 1398 il parlamento in Siracusa. Al primo aprirsi di quel parlamento il re invitò l’assemblea a provvedere: Io al mantenimento della casa reale; IIo alla difesa dei castelli; IIIo all’ordinamento dell’esercito; IV allo ristabilimento dei magistrati.
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