Ed ora più che mai ardea di voglia di riuscire in ciò, dachè sapea d’essere arrivati in Trapani alcuni ambasciatori spediti dal parlamento d’Aragona ad istanza dell’antipapa Benedetto e del re di Navarra padre della regina, per provvedere alla tranquillità del regno, i quali dovean senza meno frastornare le sue mire. Però avvicinatosi notte tempo a Palermo nel gennajo del 1412, s’introdusse nel palazzo de’ Chiaramonti, che diceasi allora l’ostiere, e fu per coglier la regina nel proprio letto; ma, avvertita del pericolo, ebb’essa appena tempo di vestirsi e scappare colle sue damigelle; corse al lido, e quindi su d’una galea si salvò nel forte castello di Solanto. Vuolsi, che il conte, trovato ancora tepido il letto di lei, abbia detto «se ho perduta la pernice, voglio godermene il nido.» Spogliatosi, vi si coricò e stette un pezzo dimenandosi pel letto e fiutandolo per tutto. Ciò fatto, die’ sacco al palazzo e ne involò tutti i preziosi arredi della regina.
Saltò intanto il grillo in capo a papa Giovanni XXIII di credere il regno dì Sicilia a lui devoluto, per non essersi pagato il censo impostovi, e spedì a Messina un suo legato a pigliarne possesso, sperando che le intestine discordie avrebbero resa agevole l’impresa. Ben è vero che i Messinesi, malcontenti de’ Catalani, che avean frastornato gli sforzi della nazione, per avere un re proprio, e de’ Siciliani per aver tenuto in non cale quanto avea stabilito il parlamento di Taormina, non solo accolsero quel legato, ma trassero anche alla sua Milazzo ed alcune terre di quei dintorni; per lo che il legato pontificio, tenendosi già sicuro della felice riuscita dell’impresa, erasi dato ad assoldar gente e fare appresti di guerra.
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