Indi avvenne che i voti dei Siciliani per avere un proprio re furon mal concertati, i loro sforzi mal diretti, i diritti loro mal rispettati.
Da quel momento comechè avesse conservato la Sicilia il titolo di regno e le antiche forme di governo, venne mano mano cadendo in tale oscurità, che i nostri annali offron materia per la storia de’ re più presto che per quella del regno.
Avea re Ferdinando prima di morire raccomandato al figliuolo Alfonso di cooperare coll’imperator Sigismondo per far cessare lo scisma che lacerava la Chiesa, ed affrettare a tale oggetto la riunione del concilio di Costanza, che già era stato stabilito. Riunito il concilio re Alfonso, oltre gli ambasciatori speditivi dall’Aragona, volle che l’arcivescovo di Palermo Ubertino di Marino, oltre all’assistervi come prelato vi rappresentasse di suo ambasciatore pel regno di Sicilia una col conte di Sclafani. Il concilio, deposti i tre emuli, scelse a nuovo pontefice Martino V, dal quale gli ambasciatori siciliani chiesero la cancellazione dell’ingiustissimo censo imposto già al regno di Sicilia da Gregorio XI. Non era certo da sperare che il nuovo pontefice rinunziasse a quella supremazia, per istabilir la quale tanto eransi travagliati i suoi antecessori e tanto sangue aveano fatto spargere; fu gran che se ottennero che fosse rilasciato quanto fino allora credeano i pontefici esser creditori, e l’esenzione di pagarsi tal censo pei cinque anni avvenire. Pure è da credere che il re non si sarebbe acquetato a tal condiscendenza, se non fusse stato distolto dalla ribellione di Sardegna.
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