Quando poi, conquistato Napoli, fu il re in istato di pigliare un tuono più minaccevole, conchiuse con Felice e co’ padri di Basilea un trattato per cui obbligavasi a marciar col suo esercito a Roma, cacciarne Eugenio, stabilir sulla sedia pontificia Felice, riconoscerlo per vero pontefice e farlo riconoscere dal re di Castiglia e dal duca di Milano: e dall’altra parte Felice promettea di accordargli l’investitura del conquistato regno e dargli dugentomila pezze d’oro. Per mala forza papa Eugenio piegossi allora a chieder pace. Spedì al re lo stesso cardinal Vitelleschi. La politica e non la religione avea indotto Alfonso a riconoscere l’autorità del concilio di Basilea, la politica e non la religione gli fece conchiudere un trattato con Eugenio. Obbligossi questi a riconoscere Alfonso in re di Napoli, a dargliene l’investitura e ad abilitare alla successione di quel regno Ferdinando figliuolo di lui, comechè non legittimo: e il re promise di richiamare da Basilea tutti i prelati dei suoi regni, di non riconoscere per cardinali coloro, che erano stati promossi da Felice, di tener legittimo pontefice il solo Eugenio; di ajutarlo contro lo Sforza, che invaso avea lo stato romano; e di soccorrerlo di un’armata nel caso che il pontefice volesse muover la guerra al Turco.
Nel riandare cotali contrasti tra ’l re Alfonso e la romana corte non puoi fare che non maravigli come non sia caduto in mente ad Alfonso il pensiere di sottrarsi all’ingiusta supremazia usurpata dai papi sul regno di Sicilia e sulle provincie d’oltremare: anzi ne mendicava da essi l’investitura.
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