E, come il papa avea per quella stessa guerra imposto sugli ecclesiastici di Sicilia una tassa dei 10 per 100 sulle loro rendite, il braccio ecclesiastico chiese d’essere esente dal contribuire al donativo offerto dal parlamento: ma il re respinse la dimanda (545).
Pure tutto quell’apparato minaccevole de’ re cristiani si ridusse ad aggravare i popoli di nuovi pesi con pretesto di una lega generale, che non si conchiuse (546). In quella vece re Alfonso diresse le armi sue contro Genova. Ma mentre aspettava la notizia della presa di quella città, ammalatosi nel maggio del 1458 in Napoli, venne peggiorando, finchè addì 27 del seguente giugno finì di vivere. Come non lasciò figli legittimi, chiamò eredi di tutti i suoi regni il fratello Giovanni re di Navarra, tranne Napoli e le sue provincie, che lasciò con titolo di regno a Ferdinando suo figliuolo naturale.
Non manca fra gli scrittori d’allora chi accagioni Alfonso dì poca religione per le brighe avute colla romana corte, e di dissolutezza per aver sempre trascurata la moglie e tenuto dietro a drude. Ma all’età nostra lungi di apporre alla sua memoria la prima pecca, dovremmo più presto accusarlo di debolezza: e l’altra fa torto all’uomo, non al re. Nè per ciò potrebbe negarsi doversi Alfonso annoverare, se non tra gli ottimi, tra’ buoni principi, che sedettero sul trono siciliano. In nessun’altro regno tante leggi si bandirono. Vero è che non tutte quelle leggi son degne d’approvazione all’età nostra: ma ciò più che al legislatore, al secolo, in cui visse, deve imputarsi.
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