La pubblica tranquillità già ristabilita, la valevolissima spinta da lui data fecero sorgere molti uomini insigni per sapere o per l’eminenti cariche, alle quali furon da lui promossi: Leonardo di Bartolomeo, Niccolò Speciale, Ruggieri Paruta, Adamo Asmundo, Giambattista Platamone, Giovanni Aurispa, Antonio Beccadelli di Bologna detto il Panormita; Niccolò Tedeschi, Niccolò Palmeri, Andrea di Bartolomeo, Pietro Ranzano, Giovanni Paternò, resero assai chiaro il XV secolo e ’l nome d’Alfonso.
Non è però da negare che la magnanimità di Alfonso sia costata cara a’ sudditi. Per sovvenire alle ingenti spese della guerra da lui sostenuta, al fasto del suo mantenimento ed alle largizioni sue verso coloro che proteggea, aggravò i popoli di pesi straordinarî non che col chiedere spesso sussidî al parlamento, ma col vendere, contro le leggi del regno, alcune delle città demaniali, e poi chiedea sussidî al parlamento, per ricomprarle, senza che la ricompra si effettuisse: onde le città erano obbligate a ricomprarsi, con imporre nuove tasse sui cittadini. I parlamenti tornavano sempre in sul vietare l’alienazione del demanio e dimandar la conferma degli antichi statuti: non v’ha parlamento nel regno di Alfonso, in cui non si vedesse un capitolo «De prohibita alienatione demanii» che ricevea sempre la sovrana sanzione. Ogni parlamento conchiudea col richiamare in piena osservanza le precedenti leggi. Ma divenuto il regno membro d’una straniera monarchia, l’autorità del parlamento, le franchigie della nazione furon dicco ben lieve al volere del principe: e il male venne accrescendosi nei seguenti regni.
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