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      Come dovea in que’ giorni partire una nave messinese carica di grano, cotone, cavalli ed altro per conto del re, il vicerè, per farla giungere con sicurezza ordinò a quell’arcivescovo di scortarla colle sue navi. Colui accettò l’incarico, ma, come giunsero ne’ mari di Sardegna, assalita la nave siciliana, se ne impadronì. Sorpreso da altri legni genovesi, che andavano in traccia di lui, salito sulla barca predata, fuggì a Pepoli, ove avea signoria Giacomo Appiano suo congiunto. Tutto diverso da lui l’Appiano negossi a dargli ricovero nel suo castello, staggì la barca e ne diede avviso al vicerè, il quale spedì colà Niccolò Lucchese, cui fu consegnata la nave con tutto il carico.
      IV. - Ma non meno abbiam noi ragione di maravigliare, se ponghiamo mente agli atti della pubblica autorità, dai quali possiam conoscere quale era allora la condizione della Sicilia. Per riparare alla scarsezza del bestiame da macello, il vicerè Lupo Ximenes Durrea vietò nel 1466, pena once cento, la vendita di esso agli stranieri. Perchè i proprietari di armenti di cavalle traevan più profitto dal destinarle alla generazione dei muli, ed i cavalli vennero più scarsi nel regno; lo stesso vicerè per farli abbondare mise fuori una prammatica, colla quale ordinava che nessuno potesse far coprire da somaro più di un terzo delle sue giumente, pena mille fiorini pei conti e baroni, cinquant’once pe’ gentiluomini, venticinque pei borghesi. E perchè tali pene parvero ardue a molti, dice il buon Di Blasi, che il vicerè compiacente si contentò di riserbare a suo arbitrio il gastigo.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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