Mentre il governo malavvedutamente disseccava tutte le sorgenti della pubblica ricchezza, era nella necessità di chieder sempre nuovi sacrifizî ai popoli. La Sardegna rivoltata dal marchese di Orestano potentissimo barone di quel regno: la Catalogna levata in armi e sostenuta dal duca di Angiò e dalla Francia: e soprattutto Maometto II, che veniva avvicinandosi all’Italia e minacciava di portar le armi sue vittoriose sino a Roma, accresceano d’ora in ora i bisogni del governo. In questo cadde in mente al vicerè conte di Prades il pensiere di aggiungere il dazio del dieci per cento su tutte le rendite, al di più di tutti gli altri pesi; e a tale oggetto convocò nel 1478 un parlamento in Polizzi. In Palermo non incontrò opposizione; anzi il consiglio municipale, senza aspettare la risoluzione del parlamento, impose dal primo dell’imminente ottobre in poi il gravissimo dazio di due tarì per ogni salma di frumento ed un tarì per ogni botte di vino. Temea intanto il vicerè che i Catanesi, i quali pretendeano, che i parlamenti si riunissero sempre nella loro città, messi in punto dal vederlo convocato altrove, non si fossero opposti. Per farseli amici, da Polizzi trasferì il parlamento in Catania; ed egli stesso recossi in Messina, per cercare di trarre alla sua que’ cittadini: ma vi trovò tutti i ceti contrarî. Cercò di metter zeppe tra un ceto e l’altro, invano. Giunse a promettere, che Messina, perchè aderisse, non solo sarebbe fatta esente dal dazio, ma avrebbe avuto un dono di quindicimila scudi, per rifabbricare le mura della città: e non fe’ frutto.
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