In quell’età non fu altro mestieri, perchè la ciurmaglia venuta fuori dalla chiesa si fosse levata in capo. Correndo furente per le vie si die’ a lacerare le vesti e malmenare gli Ebrei tutti che le si paravano innanzi. Messo un volta in moto il popolaccio, si die’ a gridare, che il Moncada deponesse il governo. Costui non sopraffatto dalla paura, venne fuori a cavallo seguito da que’ nobili, ch’eran dalla sua, e da molti magistrati. Ordinava a’ sediziosi di ritirarsi, invano: per farsi la plebe amica bandi l’abolizione della gabella sulla farina, che il popolo mal tollerava, ma non fece miglior frutto: che la bordaglia più e più ostinavasi a gridare, essere cessata ogni sua autorità per la morte del re.
In questo si sparse voce in città d’essere giunto un messo di re Carlo, apportatore della cedola di conferma del vicerè. Il popolo trasse al lido per vedere costui: ma con sorpresa universale fu visto scender dalla nave un uomo, che a’ portamenti, al contegno, al vestito, mostravasi di vil nazione. Si venne allora in sospetto d’esser quella una sopercheria del Moncada. Chi dicea esser colui un bifolco travestito, chi un galeotto, chi un famiglio del Moncada, e v’era fin chi assicurava averlo visto sere prima a sbevazzare in una bettola. Ciò maggiormente stizzì la plebe; tanto che venuto fuori dal palazzo del senato, ove avea avuto luogo la ridicola scena di far presentare da colui la supposta real cedola, il capitano della città Vincenzo Corbera, barone di Misilindino, un plebeo gli chiese copia della real cedola.
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