Offeso il capitano dalla temerità di costui, ordinò ai suoi birri di menarlo prigione: ma, datosi colui a gridare, la plebe trasse in furia e volse in fuga il capitano e i birri.
Maggiormente ingalluzzita da ciò la bordaglia, fatto sera corse al palazzo del vicerè, seguita da persone che sotto le mentite vesti di contadini erano armate d’usbergo traendo seco faci, legna e cannoni, per incendere o mandarne giù le porte gridando al Moncada di sfrattare tantosto. Chiese egli due giorni di sosta, per mettere in assetto le cose sue, e gli fu negata. Visto allora affollarsi di più e più, non che gente a piedi, ma a cavallo, assai, travestito da famiglio, venne fuori da una porta posteriore del palazzo, e giunto al lido, vi s’imbarcò addì 7 di marzo del 1516. Il conte di Adernò e quei magistrati, che in quel palazzo erano, avvistisi della sua fuga, come meglio seppero camparono anch’essi. I soldati, che custodivano il palazzo, vistolo deserto, dato di piglio a quanto v’era di prezioso, ne aprirono le porte; ed entrata la marmaglia, ne lasciò le nude mura, e poi corse al real palazzo, ove albergava lo spagnuolo Melchiorre Cervero inquisitore del sant’officio, e cacciò anche lui da Palermo.
Moncada intanto venne a Messina, ove fu come governante con ogni onorificenza ricevuto. Quindi scrisse lettere circolari, per mantenere nell’obbedienza le altre città del regno: ma queste, saputo gli avvenimenti di Palermo, ne seguiron tutte l’esempio: i magistrati furon da per tutto rimossi, i partigiani del Moncada perseguitati, i pesi pubblici aboliti, nuovi capi scelti a regger le cose municipali.
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