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      Ciò non di manco il regno tutto negavagli ubbidienza. Saputo poi quanto era accaduto in Sicilia, vi mandò lo spagnuolo Diego dell’Aquila, sulla cui probità potea contare, per esaminare la condotta del Moncada e le cagioni del tumulto. Giunto costui in Palermo, palesò in primo luogo a’ baroni esser volere del re, che il Moncada continuasse nel governo. Coloro risposero di esser pronti ad obbedire, ma lo pregarono a considerare, che mentre la nazione tutta era contro di lui rivoltata, non era lieve il ricondurla all’obbedienza, e molto meno sedare una nuova sommossa. Consultato il re intorno a ciò, chiamò a se il Moncada e i conti di Golesano e di Cammarata, levò il governo a’ due presidenti e lo affidò a Giovanni Luna conte di Caltabellotta.
      Partì il Moncada da Messina, menando seco per suoi patrocinatori Pietro di Gregorio famoso giureconsulto di quell’età e Francesco Sclafani, i quali erano anche ambasciatori di quella città al nuovo re; ed a costoro unironsi Blasco Lanza, Geronimo Guerriero e Cesare Gioeni da Catania, i quali per esser magistrati e partigiani del Moncada aveanlo seguito in Messina. Si accompagnarono ai conti di Cammarata e di Golesano, Federigo Imperatore ed Antonio Abrugnano, che aveano anch’essi nome di valorosi giureconsulti.
      Giunti costoro tutti in presenza del re Carlo, il Moncada cominciò ad accagionare i due baroni di essere stati eglino e i loro compagni gli istigatori della sommossa: questi all’incontro diceano, che l’avarizia, l’orgoglio, la crudeltà, gli sfrenati costumi suoi aveano spinta all’estremo la pazienza del popolo; ch’essi, non che di gastigo, eran degni di premio, per avere rimesso in calma il regno.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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