Il re, udite le ragioni dell’una e l’altra parte, ed esaminati i fatti, depose il Moncada dalla carica, che conferì al conte di Monteleone Ettore Pignatelli; ordinò, che fossero rimessi i dazî, che il parlamento avea imposti, e che fosse rimborsato l’erario del denaro, che non era stato esatto; e che, tranne venti de’ principali autori de’ disordini, de’ quali riserbavasi la punizione, tutti gli altri avessero perdono. Ma volle al tempo stesso, che i due conti restassero presso di se.
Giunto il Conte di Monteleone in Palermo nel maggio del 1517, ordinò per parte del re ai marchesi di Geraci e di Licodia di recarsi tantosto in Napoli e restarvi a disposizione di quel vicerè. Credea re Carlo, che allontanati quei quattro baroni, non erano a temersi più disturbi in Sicilia: ma non guari andò che nuovi e più gravi disordini ebbero luogo. Comechè calmata fosse la sedizione, non erasi spento l’odio di molti contro coloro, che avean parteggiato pel Moncada; anzi venivasi di ora in ora accrescendo il mal umore al vedere che il luogotenente (con tal titolo era venuto in Sicilia il conte di Monteleone) tutto facea col consiglio dei magistrati, che tutti tenean da quella parte.
IV. - E però una congiura secretamente ordivasi per mettere a morte tutti coloro che del sacro consiglio erano. Capo di tale cospirazione era un Gianluca Squarcialupo nobile palermitano, il quale l’anno antecedente essendo giurato in Palermo, per una briga di precedenza avea tratta la spada contro il conte d’Adernò; e ’l Moncada per vendicar l’ingiuria di quel suo congiunto, avealo bandito.
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