Giunto finalmente il fatal giorno, un frate francescano, cui avea in confessione rivelata la congiura un fratello del di Benedetto, corse ad avvertirne il Pignatelli, il quale avuto quell’avviso, si chiuse nel suo palazzo col sacro consiglio. Il barone di Misilindino, capitano della città, fuggì, lasciando a far le sue veci Francesco Alliata suo giudice. Così la città restò affatto abbandonata a quel pugno di ribaldi. I congiurati in questo, entrati in città, si riunirono nella chiesa oggi diruta di S. Giacomo la Mazzara, ed ivi confortati all’impresa dallo Squarcialupo, nell’ora posta sì recarono al duomo: non vistovi alcuna delle vittime designate, pieni di furore s’avventarono ad un Paolo Cagio, archivario della città, uomo dabbene, che era lì per adorare la santa, e lo trucidarono nel tempio stesso. Venutine fuori per lo cassero, che allora diceasi via marmorea, si diressero al palazzo del luogotenente (l’ostiere).
Lo storico Fazzello dell’età allora di diciannove anni, inteso quel subuglio, venne fuori con un compagno del suo convento e nella piazza della Loggia vide lo Squarcialupo, il Settimo, lo Spatafora e gli altri, che in tutto erano da ventidue persone; i capi a cavallo, gli altri a piedi. Venivano da per tutto invitando la gente a seguirli: ma nissuno non li seguiva «Io stupiva» dic’egli «dell’audacia di costoro, che in sì poco numero osavano invadere una città popolosa, e molto più della milensaggine del Pignatelli.»
Giunti presso la chiesa della Catena, Squarcialupo o sopraffatto dal pericolo della mal consigliata impresa; o scuorato dal non vedersi seguito, com’ei sperava, dal popolo, cadde svenuto: ma riconfortato con aceto da’ suoi compagni, ripreso animo, si diresse verso le ventidue ore al palazzo del luogotenente.
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