Ivi si diede a chiamarlo ad alta voce ed a querelarsi della supposta morte dei conti di Golesano e di Cammarata, chiedendo i magistrati, che dicea di esserne autori, per farne vendetta. Pignatelli, fattosi ad una finestra, cominciò a dirgli di darsi pace , che i conti erano vivi: ma come quelli non s’acquetarono per ciò, ei si ritrasse. Sulle tre ore della sera la plebe, visto che nessuno veniva fuori a reprimere quei sediziosi, tratta dal desiderio di vendicare la morte de’ conti, ed anche più vaga di rapina, fece finalmente anche essa bella la piazza; e incese o rotte le porte del palazzo, tutta la ciurma entrò. Senza molestare il luogotenente, ne lo trassero fuori e lo condussero al palazzo reale; ma Niccolò Cannarella da Palazzolo e Gian-Tommaso Paternò da Catania, giudici della gran corte, uccisi e poi denudati, furono buttati giù dalle finestre, e’ loro cadaveri vennero accolti sulle punte delle picche da coloro di fuori. Gerardo Bonanno maestro razionale, soprappreso mentre fuggiva travestito da contadino, evirato prima, fu poi messo a morte. Il domani Priamo Capoccio da Marsala, avvocato fiscale, tratto dalla casa d’una donnicciuola, ove eragli venuto fatto d’appiattarsi, fu trascinato per le strade della città e finalmente tutto rotto e ferito fu scannato.
Era innanzi ad ogni altro in odio a costoro Blasco Lanza da Catania insigne giureconsulto, per essere stato amico di Moncada ed averlo accompagnato e difeso in presenza del re. Corsero al convento di S. Domenico, ove credeano di essersi ascoso; frugarono pe’ luoghi più reconditi e fin per le sepolture, e, non trovatolo, diedero il sacco al convento, ove venne nelle loro mani la ricca supellettile di Ugone Moncada, che egli avea dato a conservare a quel priore.
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