Il buon uomo rispose non conoscerne alcuna. Eglino stessi proposero il barone di Ciminna (forse perchè indettati col medesimo). Maravigliò a ciò il Pignatelli, che sapea esser quel barone tutto di Squarcialupo; ma assicurato da quelli, chiamollo a se, diegli l’incarico, e quello accettollo. Si finsero costoro amici dei congiurati, proposero loro di stabilire d’accordo col luogotenente alcuni regolamenti per la riforma del governo, e coloro aderirono; chiestone Pignatelli, mostrò consentirlo. Fu stabilito il giorno 8 di settembre, per trovarsi tutti a quell’oggetto nella chiesa dell’Annunziata posta tra ’l convento di santa Cita e ’l castello a mare. Ma il Pignatelli non ebbe cuore di trovarsi presente alla scena, che dovea seguire. La notte antecedente a quel giorno, tutto solo imbarcatosi fuggì a Messina. Sul fare del nuovo giorno saputosi la partenza del luogotenente, Squarcialupo cominciò a dargli pubblicamente del fedifrago, e volle ciò malgrado, che il congresso avesse luogo.
Erano già nella chiesa dell’Annunziata Squarcialupo, Rosa, di Benedetto, molti plebei da una parte; il barone di Ciminna, Niccolò di Bologna, l’Imperatore, il Saladino, l’Imbonetto, l’Afflitto dall’altra. Mentre stavasi ad aspettare il Settimo, lo Spadafora, il Barresi e gli altri caporali della sedizione, Giacomo Crivello da Caccamo, sacerdote domenicano del vicino convento di santa Cita, venne fuori, per dir messa; Squarcialupo e i suoi accostaronsi all’altare e s’inginocchiarono, il barone di Ciminna e gli altri, non a caso, lor si misero dietro.
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