Su tali speranze quei quattro fratelli si diedero a trovar compagni, e trassero nella congiura Niccolò Leofante tesoriere del regno, Federigo e Geronimo suoi fratelli, Giovanni Sanfilippo, Giacomo Spadafora da Messina, un Gaspare Pepe, plebeo, da Girgenti, il conte di Cammarata, Pieruccio Gioeni da Catania, l’altro Federigo Abbatellis barone di Cefalà. Lo stesso papa Leone X erasi tramesso in quell’affare, e Francesco Imperatore nel 1522 era ito in Francia, per trattar di presenza con quel re, portando seco lettere del cardinal di Volterra, nelle quali caldamente raccomandava al re Francesco quella persona e quell’affare.
Era intendimento de’ congiurati di levare a sommossa il popolo di Palermo al primo apparire dell’armata francese ne’ mari di Sicilia e dare addosso a’ soldati spagnuoli; onde il Francese, quasi senza trarre la spada, avrebbe potuto venir signore del regno. Un caso ruppe le fila della congiura.
Il conte di Monteleone vicerè avea convocato il parlamento in Palermo, per chiedere straordinarî sussidî. Il conte di Cammarata, il barone di Cefalà ed i Leofanti, per rendersi cari al popolo, onde servirsene poi di strumento, proposero, che que’ sussidî dovessero solo pagarsi da’ prelati e da’ baroni, e ne fosse il popolo esente. Inciprignirono a quella proposta i baroni e i prelati; onde il vicerè trasferì il parlamento in Messina, ove la voce di quel conte non potea prevalere: ma il conte vi si recò con grande accompagnamento d’armati. Ciò parve a tutti, e lo era, un’offesa alla legge ed alla pubblica autorità; per che il vicerè, fattolo arrestare, lo mandò di presente in Napoli, per essere custodito in quelle carceri.
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