Avea il vicerè Lupo Ximenes d’Urrea, saputo appena il caso, ordinato al tribunale della gran corte di compilare il processo al Perollo e ai suoi compagni, onde averne esemplare gastigo. Ma il conte più rabbioso di un toro assillito volea una vendetta, la volea clamorosa, la volea senza rispetto, la volea di sua mano: e però non sì tosto si riebbe, che, raccolta in Caltabellotta una numerosa masnada, venne ad assalire il castello di Sciacca, e non trovatovi il Perollo, ammazzò quanti v’erano, mise tutto a sacco ed a ruba; lo stesso fece nella casa di tutti coloro, ch’eran di lui congiunti od amici, e da per tutto metteva a morte qualunque, reo od innocente, che a lui si parava innanzi; onde più di cento persone caddero di sua mano. Nè pago di ciò, accatastate in tutte quelle case gran quantità di legne, egli stesso vi mise fuoco: onde, non che quelle, ma assai altre case di quella città furon preda delle fiamme. Pareggiata così la partita fra que’ due nemici, re Alfonso li bandì entrambi e ne confiscò i beni: ma poi presso a morire fe’ loro la grazia del ritorno e della restituzione de’ beni. Pure nè quella punizione, nè lungo volger d’anni poterono estinguere l’odio reciproco di quelle famiglie; anzi la nimicizia venne per varî incidenti accrescendosi, finchè nel 1529 produsse nuova e più sanguinosa catastrofe.
Era allora la città di Sciacca assai popolosa, e molte nobilissime famiglie colà stanziavano, fra le quali primeggiavano quelle due. Giovanni conte di Luna, signore di Caltabellotta, Bivona, Sclafani, Caltavuturo ed altri ricchi feudi, era stato da re Carlo scelto a presidente del regno dopo l’espulsione di Ugone Moncada, ed era poi restato in Palermo a menar vita pacifica.
| |
Lupo Ximenes Urrea Perollo Caltabellotta Sciacca Perollo Alfonso Sciacca Luna Caltabellotta Bivona Sclafani Caltavuturo Carlo Ugone Moncada Palermo
|