Restò cruccioso il conte di Luna di avere il suo nemico spuntato meglio di lui quell’impegno. Già la nimicizia fra costoro era venuta al colmo; ed ognun di loro ragranellava sgherri per lo sospetto che si aveano. Un di que’ giorni il conte tutto solo veniva fuori di Sciacca; gli si parò innanzi il Perollo col solito suo seguito. Non volle questi assalirlo, chè lo tenne a viltà, ma volto a’ suoi disse ad alta voce, sì che l’altro l’intese «dove va questo pazzo?» e in questo dire tutta quella ciurma si die’ a sbeffeggiare il conte con urli, con fischi, con archibugiate tratte in aria a modo di trionfo.
Perdè la scrima a quell’affronto il conte, e tutto rabbioso corse a Caltabellotta, ove chiamò tutti i suoi amici. Oltre i nobili di Sciacca, che erano dalla sua, vi vennero in suo ajuto Pietro Gilberto da Palermo, Michele Impugiades con due suoi fratelli da Girgenti, Pietro e Francesco Ugo da Termini, Francesco Sancitta da Salemi, ognuno col suo seguito. Fece venire da Bivona una numerosa masnada di bravi, e prese al suo servizio una banda di Greci facinorosi, capitanati da un Giorgio Comito, uomo di pessima vita. Ebbe così al suo comando quattrocento fanti e trecento cavalli. Ciò non di manco non osava egli assalire a fronte scoperta il Perollo in una città, che contava allora oltre a trentamila abitanti a lui devoti, ove abitava un castello ben provveduto d’armi e di gente. Per lo che con cento di quei bravi i più risoluti venne notte tempo a nascondersi in una casa di Sciacca, cercando di cogliere alcun destro d’assalire il suo nemico alla sprovveduta.
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