Accozzossi a tal comitiva Federigo Perollo già reduce da Messina, che seco menava dugento fanti ed altrettanti cavalli spagnuoli datigli dal vicerè. Il conte Sigismondo, saputo l’avvicinamento di costoro, non tenendosi sicuro in quella città, andò co’ suoi ad afforzarsi in Bivona. Entrati poi i Perolli, si ricattarono con altri incendî, altre stragi ed altre rapine.
In questo il vicerè, saputo l’orrendo caso, destinò con pieno podere due giudici della gran corte, per compilare il processo e punire il conte e’ suoi complici, accompagnandoli con dugento cavalleggieri. Recatisi costoro, ai quali vennero ad unirsi colle loro forze i Perolli, ad assediare Bivona, il conte non istette ad aspettar l’attacco, ma colla moglie e’ figliuoli fuggì dal regno. Allora alle stragi illegali successero le carnificine e le persecuzioni giudiziarie. Venuti i commissarî regî in Bivona, vi impiccarono quanti degli sgherri del conte poterono aver nelle mani. A Sciacca poi ebbero luogo più numerosi gastighi. Dichiarati i giurati complici del Luna due ebbero mozza la testa e due stettero più anni prigioni; molti dei plebei perderon la vita sulle forche; di tutti i nobili, che avean seguita quella fazione, altri furon condannati a perpetuo carcere, altri banditi, i più rei fuggirono; fu imprigionato in Palermo e mandato in un castello di Messina il vecchio duca di Bivona, padre del conte Sigismondo, il quale, comechè non si fosse trovato presente al caso, pure si sospettava d’aver favorito l’impresa del figlio: la stessa città di Sciacca fu condannata ad una grossa taglia, per non avere il popolo fatto argine all’impresa del conte ed aver tollerato, che si fossero tolti i cannoni dai baluardi; il conte stesso fu dichiarato ribelle e i beni della sua famiglia furono confiscati.
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