Tutti quei masnadieri poi, che lo avean seguito ed all’ombra delle sue protezioni aveano fino allora scansata la pena degli antichi misfatti, presi in tutti i siti, ov’eransi ritratti, furono impiccati e squartati, e le teste e i membri loro furono appesi per le città e per le campagne; onde si videro lunga pezza in Sicilia le luttuose vestigia di quel tragico avvenimento, la cui fama suona ancora col nome di Caso di Sciacca, ito a proverbio, allorchè si vuol disegnare un gran che.
Il conte, causa di tanti mali, fuggito da Sicilia recossi in Roma. Era sua moglie de’ Salviati di Toscana, e la madre era de’ Medici, sorella di papa Clemente VII, per lo cui mezzo sperava ottener da re Carlo il perdono. Nel febbraro del 1530 trovandosi papa Clemente in Bologna col re, gli chiese la grazia del reo: ma Carlo fu inesorabile; solo alle replicate preghiere del pontefice, rimise in libertà il padre e restituì i beni ai figliuoli, a patto che prima ne fossero ristorati i danni cagionati alle case de’ Perolli e degli altri. Trecentomila scudi fu calcolato il guasto del solo castello, oltre a quello delle altre case. Per Sigismondo poi dichiarò, che ovunque lo avesse colto, la sua testa sarebbe caduta per mani del boja. Quell’infelice disperato di perdono, agitato da’ rimorsi, buttossi nel Tevere e vi finì miseramente i giorni suoi.
II. - Mentre in quell’angolo di Sicilia tali sanguinosi fatti avean luogo, il regno tutto era afflitto, non che dalle continue depredazioni dei corsali affricani, ma dal timore di una invasione delle armi ottomane; che il re Francesco di Francia, per divertire le forze di re Carlo, avea stretto alleanza con Solimano soprannominato il magnifico, imperatore di Costantinopoli, il quale, dopo d’essersi insignorito dell’isola dì Rodi, cacciatone i prodi cavalieri dell’ordine di san Giovanni di Gerusalemme minacciava la Sicilia, Napoli e tutte le spiagge del Mediterraneo.
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