Si fece poi a mostrare le ingenti spese, che avea avuto a sostenere per la spedizione di Tunis, il vantaggio della quale era principalmente della Sicilia; però era giusto, che il regno lo soccorresse di alcuno straordinario sussidio.
Per quest’ultima parte il parlamento condiscese volentieri a’ desideri del re, facendogli lo straordinario donativo di dugentomila ducati da pagarsi fra quattro mesi. Ma intorno alla prima parte del discorso del re il parlamento non seppe o non volle proporre altro, che di scegliersi quattro giureconsulti, per ricevere le appellazioni delle sentenze della gran corte (586); che sei fossero i giudici della gran corte, tre per le cause civili e tre per le criminali (587); e che tutti costoro usciti di carica fossero sindicati da un sindicatore straniero (588). Conchiuso così il parlamento, il re addì 14 di ottobre partissi da Palermo, e per la via di Termini, Polizzi, Troina, Randazzo e Taormina giunse a Messina, ove fu con somma pompa accolto; e ne partì addì 3 di novembre. Ma prima di partire cercò dare quel riparo all’amministrazione della giustizia, che invano avea chiesto al parlamento.
Era il regno in que’ dì infestato da una gran quantità di banditi e facinorosi d’ogni maniera, cui tutte le persone potenti si recavano a vanto proteggere. Il male avea antiche radici. Tutti i capitoli del regno, di Martino, di Alfonso, di Ferdinando il cattolico, minacciavano pene severe a coloro, che davano ricetto ai banditi. Prammatiche e gride s’erano pubblicate, e finalmente re Carlo addì 31 di ottobre del 1535 mise fuori una prammatica, colla quale si minacciava pena della perdita dei feudi ed anche della vita a quei baroni od altre persone, che ricettassero banditi e malfattori.
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