Nè ciò è tutto: il governo, sempre che ne avea mestieri, pigliavasi i frumenti altrui depositati ne’ caricadoi. Di che si dolse il parlamento nel 1546 (590).
Nè saprebbe ora capirsi come i campi siciliani non divennero allora affatto deserti. Ma è da considerare, che nell’avvilimento, in cui era allora l’agricoltura, i baroni tenevano le terre a loro mani, e però erano i più grossi proprietarî di frumenti. Costoro, usi com’erano a farsi beffe delle leggi anche giuste, molto più dovean farlo per tali iniqui regolamenti, e traeano loro frumenti di contrabbando. Indi le severissime prammatiche del 1536, del 1544 e del 1555 contro le tratte furtive.
V. - Accrescea la calamità della Sicilia la licenza dei soldati spagnuoli, che vi venivano. Nel 1539 la guarnigione della Goletta mal pagata si abbottinò, una parte di essa, lasciata la piazza, venne in Sicilia e volea sbarcare in Messina. Il vicerè Gonzaga no ’l permise; ma quelli, malgrado il divieto, presero terra e dieronsi a saccheggiare il contado. Adoprate in vano le vie della persuasione, il vicerè ricorse alla forza e spedì contro di essi tre commissarî con gente armata. Stretti da tutte le parti vennero a patti, il vicerè recossi in Linguagrossa, ov’essi erano, e giurò sull’ostia sacra di pagar loro gli stipendi, di cui eran creditori, e perdonargli la sedizione. A questi patti si sottomisero, e vennero divisi in varie piazze del regno. Gli stipendî furono pagati, ma non guari andò, che il vicerè, chiamati i capi di quei sediziosi in Messina, venticinque ne fece impiccare; ed altri ne furono al tempo stesso impiccati in Vizzini, in Militello, in Lentini.
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