Il principe vittorioso ritirossi in Messina; quindi, invitato dal senato, venne in Palermo, ove il suo ingresso fu un vero trionfo. Ma quella gioja non valse a compensare la perdita, che fece allora la Sicilia nell’essersi colmato d’ordine di lui il porto di Marsala, ch’era il più vasto di Sicilia. Un passo così sconsigliato si diede per non dare ai Turchi d’Affrica l’agio di farvi uno sbarco. Ma certo, per colmarlo, si ebbe a spender di più di quanto era mestieri, per erigervi delle fortificazioni. Quella guerra già da secoli passò: la perdita del porto è restata. Data quest’insana disposizione, D. Giovanni mosse da Sicilia con un’armata di dugento vele, sopra la quale erano ventimila uomini di truppa di terra. Con tali forze si diresse contro Tunis. Erasi fatto signore di quel regno Ulucchialì, che ne avea cacciato il re Mulei Amida, il quale era venuto a ricovrarsi in Palermo, ove era stato splendidamente albergato nel palazzo d’Ajutamicristo; D. Giovanni lo menò seco. Felice fu l’esito di quella spedizione. Il governatore lasciato da Ulucchialì abbandonò al principe il regno e la città. Ma effimero fu quel trionfo. Avea il re ordinato al fratello di spianar Tunis, ove fosse venuta in suo potere: ma questi, che ambiva di essere investito del conquistato regno, lungi di eseguire l’ordine avuto, lasciò in Tunis una forte guarnigione, cominciò a farvi erigere altre fortezze, e lasciatovi al governo un Maometto, invece del re Mulei Amida, odiatissimo colà per le crudeltà sue, ne partì. Nel contravvenire agli ordini avuti era stato D. Giovanni secretamente incoraggiato da papa Gregorio XIII, il quale nel fare al re Filippo la proposizione d’investir suo fratello di quel regno, fece vedere i vantaggi, che avrebbe tratti la cristianità dall’esser quel regno tenuto da un principe cristiano.
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