IV. - Indi è manifesto, che ammirevoli sarebbero stati i baroni siciliani, se passando oltre ai lumi di quell’età avessero chiesto l’abolizione di quel barbaro modo di procedere: ma nissun diritto aveano di dirlo violazione delle leggi del regno, le quali da re Filippo furono rispettate a segno che, essendo allora conosciuta necessaria una riforma ne’ tribunali di Sicilia, non volle farla senza l’intelligenza e ’l consentimento del parlamento. Ed a tale oggetto spedì in Sicilia il marchese dell’Oriuolo suo consigliere, il quale, fatto riunire addì 8 di dicembre del 1562 il parlamento in Palermo, espose l’incarico avuto dal re di dar nuova forma alle corti supreme di giustizia del regno. La proposizione ben cadea in acconcio a ciò che il parlamento stesso avea sin dal precedente regno proposto.
Il gran vizio dell’ordine giudiziario di Sicilia era la mancanza di un tribunale, cui i litiganti avessero potuto appellarsi dalle sentenze della gran corte, composta da prima da quattro soli giudici, cui presiedea il gran giustiziere del regno, i quali decideano nel civile e nel criminale. E perchè ristretta era la competenza dei magistrati inferiori, da’ quali portavasi appello alla gran corte, ne venia, che tutte le grandi cause erano difinite in un solo giudizio. Vero è che dalle sentenze di quel tribunale poteasi appellare direttamente al re, ossia, come allora diceasi, alla Sacra Regia Coscienza; e ’l re in questi casi destinava alcun giurisperito, che diceasi giudice della Sacra Regia Coscienza, per rivedere la causa: ma, oltrachè potea avvenire, che il debole fosse in quel modo sopraffatto dal potente, cui potea di leggieri venir fatto d’avere un giudice suo, era ben mostruoso che un giudizio proferito da quattro fosse contrappesato da quello di un solo.
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