- IV. Nuovi ritrovati per cavar sangue da’ Siciliani. Stato della Sicilia. - V. Tumultuazioni. Il marchese de Los Veles ed il cardinale Trivulzio vicerè - VI. Congiura di Francesco Vairo. Gabriello Platanella. - VII. Nuova cospirazione. - VIII. Ingordigia degli Spagnuoli.
I. - Tale fu lo stato della Sicilia nei primi due regni della famiglia austriaca. Venuto a morte nel settembre del 1598 Filippo I, a lui succedè l’unico suo figliuolo, che anche Filippo avea nome. Conosciuta la poca capacità del figliuolo, che lo portava, come ei dicea, ad essere più presto comandato che a comandare (613), avea Filippo I disposto negli ultimi anni del suo regno, che il figlio stesse presente alle discussioni del consiglio di stato, per acquistar conoscenza degli uomini e delle cose di governo: avealo poche ore prima di morire avvertito a regger da se solo i regni. Ciò non però di manco giunto al trono, Filippo II depose tutta la sua autorità nelle mani del suo favorito il marchese di Denia, il quale era stato suo scudier maggiore. Creollo duca di Lerma, e con suo editto avvertì i sudditi a prestar fede ed obbedienza intera a qual si fosse ordine da lui spedito in suo nome.
La negghienza del monarca comunicossi tosto a tutta la monarchia e particolarmente al regno di Sicilia, che n’era la più remota parte in Europa. All’attività ed alle grandi imprese del precedente regno successe un generale languore. I vicerè null’altra pena davansi, che abbellire la capitale e trar danaro dalla nazione; ed in ciò molto loro giovava il timore, in cui sempre stava il regno per gli armamenti, che di continuo vociferavansi, degl’imperatori ottomani e per le le correrie de’ corsali affricani: però il parlamento, non che assentiva sempre alle richieste, ma mostravasi talvolta generoso, anche cogli stessi vicerè. Nel 1609 il parlamento fece al vicerè marchese di Vigliena un donativo di sessantamila scudi per lo ricatto di un suo figliuolo naturale caduto non guari prima in ischiavitù, accompagnando quel dono con espressioni le più lusinghe per la maniera, con cui quel vicerè avea governato; per cui: Ai buoni non resta più che sperare, ed alli stessi mali di che querelarsi (614). Il marchese di Vigliena generosamente rifiutò il dono, e per sovvenire a quella spesa amò meglio impegnare tutte le sue gioje (615).
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