Pure in quel parlamento stesso nacque una briga, per cui quel vicerè venne in odio e in disprezzo della nazione. Avea il re preso al suo soldo un inglese, che spedì in Sicilia, ordinando al vicerè di accrescere le galee siciliane e darne a costui il comando, per dar la caccia ai corsali. Mancando il danaro per quell’armamento, il vicerè, sedente il parlamento, mise fuori una grida, con cui raddoppiava i diritti, che pagavansi per tutti gli atti giudiciali. Risentissi il parlamento, per essersi senza consenso suo imposto quel dazio. Baldassare Naselli conte del Comiso, il quale, come pretore di Palermo, era capo del Braccio demaniale e Pietro Balsamo marchese della Limina, uno de’ deputati del regno, rappresentarono al vicerè l’illegalità del passo dato. Ma il cocciuto spagnuolo non volle cedere; anzi la notte fece arrestare il conte del Comiso e ’l marchese della Limina e mandolli presi nel castello a mare di Palermo e li depose dalle cariche. Allora l’indignazione divenne generale. Tutte le città del regno spedirono al vicerè rimostranze contro quel dazio; e forse le cose sarebbero andate più oltre, se il vicario generale dell’arcivescovo di Morreale non avesse minacciato al vicerè di scomunicarlo in forza della bolla in coena Domini, la quale vietava ai re d’imporre nuovi dazî ai sudditi senza il permesso della santa sede. La superstizione potè più della legge. Atterrito il vicerè da quella minaccia, rivocò la grida e die’ ordine di mettersi in libertà il conte del Comiso e il marchese della Limina: ma costoro negaronsi d’accettare la grazia e vollero restar prigioni fino a che fosse nota la volontà del re, cui aveano rimostrato.
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