Venuta fuori quell’armata, incontrossi ne’ mari di Modone con un grosso vascello turco carico di ricche merci e lo prese; e poi imbattutasi in dodici galee, che portavano al gran signore i tributi della Morea, dopo lungo e sanguinoso combattimento sette di quelle, sulle quali era la più gran parte del danaro, vennero in potere dei Siciliani, ed oltracciò meglio di secento schiavi cristiani, ch’erano sopra quelle galee, riacquistarono la libertà. Tornata l’armata vittoriosa in Palermo, l’ammiraglio, entrò in città in trionfo. Precedea il bassà d’Alessandria in catena preso in quella battaglia, seguivano tutti gli altri prigionieri, indi tutti i cristiani liberati con rami d’olivo nelle mani e da ultimo l’ammiraglio in mezzo del vicerè e del cardinale Doria arcivescovo di Palermo, con seguito numerosissimo di nobili.
Quella vittoria e quel trionfale ingresso produssero una ebbrietà generale: pareano risorti i tempi gloriosi dì Rugieri di Loria. Il vicerè, per secondare lo spirito nazionale, nel gennajo del 1614 ordinò, che in Palermo tutti i cittadini di ogni ceto atti a portar le armi stessero pronti a presentarsi ad ogni comando. A sommo stento ne furono esclusi i soli speziali. Nel seguente marzo poi volle farne una generale rassegna nel piano di s. Erasmo. Tutti i ceti vi comparvero in armi, divisi in compagnie comandate da capitani, che ogni classe avea scelto, e fin vi vennero da milletrecento Genovesi, che in Palermo erano, comandati dal loro console. Nell’anno stesso altre galee fe’ costruire, che unite alle prime vennero fuori nel 1615 e presto ritornarono con nuove prede.
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