Il duca di Ossuna, cui quel doppio maritaggio non andava a pelo, facendo le viste di esserne lieto, dichiarò di voler egli disporre la festa. Il rispetto, che per lui si avea, l’opinione della sua splendidezza, fecero assentire i contribuenti. Avuto il danaro, ne maritò tante zitelle povere delle famiglie nobili, dicendo «Il danaro è meglio impiegato a moltiplicare, che a solenneggiare i matrimonî.»
Pur comechè gli fosse mancato il valido appoggio della Francia, continuò egli nel suo proponimento. Nel 1615 ottenne dal parlamento, oltre agli altri donativi, la conferma per altri nove anni di quello di trecentomila scudi l’anno: e come il parlamento avea chiesto alcune grazie al re, egli, forse per meglio addormire il governo, avea fatto fare un dono di trentamila scudi al duca d’Uzeda figliuolo del duca di Lerma, per ottenere la real sanzione, e ’l re avea dato facoltà allo stesso vicerè di rispondere alle proposte del parlamento.
La sua condotta avealo reso tanto caro ai Siciliani tutti, che la città di Palermo fece coniare in suo onore una medaglia d’argento, che vedesi nella Sicilia numismatica dell’Avercampio, e, ciò ch’è maggiormente degno di nota, il Longo e ’l Bonfiglio scrittori messinesi di quell’età lo lodano a cielo. Ciò non di manco l’impresa non era matura, quando nel 1616 ebbe a lasciar la Sicilia, per passare al governo di Napoli, onde fu rimosso nel 1620 (618).
Il brio e lo spirito marziale suscitati da quel vicerè spariron con lui; e comechè il conte di Castro, che a lui successe nel governo, si fosse mostrato egualmente vigile e rigoroso nell’amministrar la giustizia, pure la sua devozione, l’umore suo malinconico anneghittirono la nazione, e i disordini generali non che tornassero, si accrebbero dopo la morte di Filippo II seguita nel marzo del 1621.
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