Ciò non di manco gli venne in capo di cacciare gli Spagnuoli e stabilire in Sicilia una repubblica. Ardito era il pensiero; e il piano divisato dal Vairo e dai compagni, per venirne a capo, mostra mente non volgare. Doveano i congiurati sparger fama, che il cardinal Trivulzio d’accordo co’ nobili e’ magistrati dovea di soppiatto far venire assai soldati e con essi dare addosso alla sprovveduta al popolo. Quando gli spiriti sarebbero stati messi in agitazione per quelle voci, il Vairo dovea invitare a cena i consoli, dargli bere vino adoppiato, oppressi dal sonno, metterli a morte, e al far del giorno farne trovare le membra sparse per la città, le teste appese nella piazza Vigliena, e farne credere autore il governo. Messa per tal modo in furore la plebe, dovea il Vairo mostrarsi a cavallo armato a gridare vendetta. Non potea mancare di trovar seguaci: il danaro della principessa sparso ad arte, la promessa del saccheggio del banco pubblico e delle case facoltose, gli avrebbe accresciuti. Con tali forze assalir dovea e mettere a morte il presidente del regno, la nobiltà, i magistrati, e farsi padrone del castello e de’ baluardi. Doveasi allora proclamar la repubblica, di cui il primo doge esser dovea Francesco Barone da Morreale, uomo d’ingegno colto e gentile, che scrisse l’opera De Majestate Panormitana, il quale per la sua libertà di pensare era da più anni nelle carceri del sant’officio.
Prima cura del nuovo doge esser dovea quella d’invitare tutte le altre città del regno a scuotere il giogo del governo spagnuolo, scrivere a Masaniello, per istringer lega tra la repubblica siciliana e la napolitana, e far pace a qual si sia partito col re di Tunis, il bey d’Algeri e ’l gran signore, e chiamarli, per dare addosso all’armata spagnuola, ch’era nei mari di Napoli.
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